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CIAO 2001

18th March 1979

BLONDIE
intervista

I BLONDIE PROVENIENTI DAL NEW JERSEY ED ESPLOSI CON IL RECENTE IMPULSO ROCK, STANNO ARRIVANDO VELOCEMENTE AL SUCCESSO INTERNAZIONALE. PERO’ SI LAMENTANO: CHI VERAMENTE STA TOCCANDO I VERTICI DELLA POPOLARITA’ E’ DEBORAH HARRIS, DETTA DEBBIE, CANTANTE DEL GRUPPO E FORMOSA EX PIN-UP AMERICANA. I MUSICISTI VOGLIONO LA LORO PARTE (ANCHE SE SARA’ BEN DIFFICILE RIUSCIRE A PRIMEGGIARE SULLA COMPAGNA…)

Una
bionda
chiamata
Debbie

Negli ultimi due o tre anni abbiamo assistito, in tutto il mondo occidentale, ad una insistente moda-revival degli anni Cinquanta e Sessanta, quasi un retro-recupero in questi anni Settanta cinici e violenti di un periodo sereno e felice, (cosi almeno il revival e certi filmetti fanno credere ai più). In realtà si tratta di un gioco industriale che contrabbanda un qualsiasi periodo, lo camuffa per quello che non è stato e lo impone al gusto corrente.
Anche, e soprattutto, nel mondo musicale, cosi strettamente legato alla moda e al cinema, abbiamo assistito a questo fenomeno: non soltanto sono stati fatti resuscitare dei veri e propri cadaveri ma sono nati dei « nuovi » personaggi, prefabbricati e pronti all’uso. L’ultima grande invenzione è stata il « corpo » John Travolta (già defunto e in via di pronta sostituzione) che, tanto per non sbagliarsi, è passato ballando dai Settanta ai Cinquanta con estrema disinvoltura.
Tutto questo ha purtroppo riguardato anche il rock. Il 1976-77 è stato il periodo della neo-esplosione del rock dopo anni di stanca e, come avviene sempre in questi casi, sono nati e scomparsi come meteore molti nomi. Oggi i sopravvissuti sono pochi, e, tra questi, c’è un gruppo del New Jersey guidato da Debbie Harris, Blondie, formazione di rock’n’roll che opera un recupero della musica « semplice e carina » dei primi Sessanta aggiungendoci una spruzzata di elettronica con i sintetizzatori e le tastiere di Jimmy Destri.
Fin dal loro esordio vennero identificati nella figura della loro cantante, Deborah Harris, formosa (e trentenna) pin-up americana, una immagine appropriata per un gruppo di rock’n’roll. Furono definiti punk (ma tutti, fino ad un anno fa, venivano definiti punk…) finchè ci si rese conto che facevano un semplice rock’n’roll rimodernato. Per tutto il 1976 i Blondie si tennero abbastanza vicino alla scena punk di New York in modo cosi di approfittare della grande curiosità scatenatasi intorno a gruppi come i Ramones.
Con « Blondie », loro primo LP uscito nel 1976, risultò chiaro il climax musicale del gruppo: sulle basi di un rock’n’roll indubbiamente ben fatto, i Blondie costruirono semplici canzoni, storie banali che Debbie Harris interpreta come se fosse un personaggio da strips a fumetti. Il gruppo ebbe una presa immediata un po’ dappertutto, radunando attorno a sè schiere di teen-agers che, dopo la dipartita di Marc Bolan e la fine del rock di plastica inglese, avevano trovato finalmente un nuovo sex-simbol nella bionda vocalist di New York.
Nel successivo « Plastic Letters » cambiò il produttore: a Richard Gottenher successe Mike Chapman, noto per il lavoro svolto con gli Sweet e con Suzi Quatro. Il cambio si fece sentire, Plastic Letters risultò più hard del primo disco, più facile da ricordare; ottenne molte passaggi alla radio e lanciò definitivamente i Blondie, che ormai nelle loro tournée scatenano scene di isteria tra i quindicenni anglosassoni e non. Nello stesso periodo ci furono rimaneggiamenti anche nella formazione: entrarono il bassista inglese Nigel Harrison ed un altro chitarrista, Frank Infante, portando cosi a sei i componenti del gruppo formato da Debbie Harris, voce. Chris Stein, chitarra, Jimmy Destri, tastiere e Clem Burke, batteria.
Il suono oggi è guello di una buona banda di rock’n’roll; i musicisti, soprattutto Stein e Destry, sono intelligenti, quindi la musica (e lo si nota sul recente « Parallel Lines » è di buona fattura (è interessante il brano « Fade away and radiate » che vede come ospite di lusso la chitarra di Robert Fripp). Gli arrangiamenti si riallacciano in alcuni casi addirittura alla scuola di Monaco, come nel pezzo « Heart of Glass » che esce in questi giorni come 45 giri.

INCONTRANDO
JIM DESTRY
D. Innanzitutto parlami del nuovo disco…
R. Ti dico subito che lo troverai sicuramente diverso dai precedenti. Abbiamo cercato di combinare una certa atmosfera elettronica (hai presente quelle cose di Monaco o la disco dei Kraftwerk?) con l’impatto delle chitarre hard, tipiche del rock. In tutto questo, oltre la nostra maturazione come musicisti, ha avuto un peso determinante Mike Chapman, il nostro produttore. Sai, Mike è un perfezionista, ci ha finalmente trovato un suono compatto, più personale ed aggressivo. In definitiva ci ha reso molto più accessibili alla radio.
D. Non mi hai parlato di Parallel Lines…
R. Senza andare titolo per titolo, questo album ha delle liriche più aggressive, che arrivano dritte all’argomento. Gli altri due album erano pieni di immagini di fumetti, erano come dei cartoni animati su disco, in questo c’è una essenza diversa, le canzoni cominciano e terminano raccontando una storia molto semplice ed emotiva. Solo semplici melodie per emozioni semplici di una vita semplice!
D. Ho notato che il modo di interpretare le canzoni da parte di Debbie è notevolmente migliorato, riesce ad essere più comunicativo. Avete svolto un particolare lavoro in questo senso?
R. No, credo che dipenda dalla normale evoluzione di una cantante che piano piano riesce ad usare sempre meglio le proprie capacità.
D. Voi del gruppo non temete di essere completamente annullati da Debbie, nel senso che il gruppo potrebbe scadere a semplice accompagnatore di una cantante di successo…
R. Corriamo questo rischio da sempre. Pensa che all’inizio dicevano che il nostro manager ci aveva messo insieme per accompagnare Debbie. Lei dice di trovarsi in una strana situazione: mentre vede con piacere il grosso effetto che la sua bellezza provoca sulla gente, è disperata perché si accorge che limita l’immagine totale della band. Ti posso raccontare un paio di episodiche ti chiariranno meglio il modo in cui lei sente il problema: quando eravamo in procinto di firmare il primo contratto Debbie voleva a tutti i costi cambiare il nome del gruppo perché, secondo lei, dal nome si intuiva che il punto di riferimento era lei. Poi ha voluto che alla stampa si distribuissero solo foto della band al completo e non sue particolari.
D. Trovi diverso il successo in Europe e in America?
R. La differenza è enorme. Negli States siamo ancora una band che sta costruendo il proprio successo, lavoriamo molto per questo; qui in Europa siamo già delle star, è quasi uno shock. In Inghilterra ci trattano come una band per teen-ager, abbiamo un successo travolgente, lo stesso succede in Giappone o in Australia. Trovo tutto questo molto strano!
D. Che ne pensi del fatto che in questi ultimi due anni il rock è tornato cosi prepotentemente all ribalta?
R. Io penso che sia tutta una questione di mercato, della pressione che l’industria esercita sul prodotto. Le case discografiche dicono « noi vogliamo far sviluppare un artista » ma io non credo che sia cosi. Quello che in realtà vogliono è un prodotto che esse possano realizzare in accordo con i loro programmi di vendita. Il rock è riesploso perché intorno ad esso si è sviluppato un grosso interesse e, di conseguenza, un grosso mercato. Non credo che si tratti di nuova ispirazione, molti gruppi interessanti sono scomparsi per il mancato interesse dell’industria.
D. Che programmi avete per l’immediato futuro?
R. I primi mesi di quest’anno staremo un po’ più calmi anche perché a febbraio Debbie inizia a girare un film scritto e diretto da Howard Smith, un giornalista del Village Voice. Probabilmente si chiamerà « Barbie » e sarà la storia dell’ascesa di una cantante bionda al paradiso della superstar. Molto probabilmente nel film saranno inclusi vari spezzoni live ripresi dalle nostre esibizioni al CBGB’s e al Bottom Line di New York.
D. Vuoi dirmi ancora qualcos’altro?
R. Giusto due parole ancora riguardo a Parallel Lines. E’ un buon album, secondo me, e credo che piacerà a molta gente. Diverse persone ci accusano di essere banali, di pensare solo alle vendite. Io credo che quello che stiamo facendo sia solo della musica, fatta semplicemente e con onestà. Non mi importano le chiacchiere degli altri, noi dobbiamo solo fare attenzione a due cose: che l’immagine di Debbie non oscuri quella del gruppo (e purtroppo in Europa e in Giappone questo sta già avvenendo) e, come seconda cosa, di non transformarci in un gruppetto simpatico con alte vendite. Io non voglio diventare come gli Abba!
Federico Ballanti

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